Chi frequenta questo spazio sa che sono un’assidua lettrice di riviste letterarie e di collettivi di scrittura. Amo scoprire nuove storie e nuove voci. Oggi incontro La Nuova Verdə. Una delle riviste più longeve, tra le poche a rinnovarsi continuamente e a interrogarsi sul ruolo delle riviste. Pazzeschi e irriverenti. Provateci voi a farli stare in tre righe di presentazione.

- Come nasce Verde?
Cara Tina, ti ringraziamo di darci finalmente la possibilità di rispondere una volta per tutte alla domanda che negli anni più abbiamo eluso, pure pateticamente.
Qua, qua, qua, qua, qua, qua, e ancora qua, qua, qua, qua qua e chissà dove altro.
La vera storia de La Nuova Verdə è in larga parte orale – e tale sembra destinata a rimanere. Una teoria dell’arte de La Nuova Verdə non si è mai sviluppata – e forse è troppo tardi perché si sviluppi ora. Non andremo contro a questi dati di fatto. La Nuova Verdə resta una forma, da studiare e da giudicare come si fa con un libro. Che, nel caso de La Nuova Verdə avrebbe più di mille capitoli, quanti i racconti che abbiamo pubblicato.
Incipit: “Firenze in quegli anni era così, si aveva l’impressione di vivere al centro del mondo e al tempo stesso in provincia. Si andava ogni giorno al caffè, ci si conosceva tuttə. Prima o poi qualcuno ti chiedeva: hai già incontrato Luca Marinelli? La nostra fu un’amicizia breve ma felice. Parlavamo quasi solo di riviste. A volte ci suonava con la chitarra le canzoni di De André. Noi non cantavamo. Pur di non cantare De André, ci saremmo cavati gli occhi e le orecchie e le interiora.”
- Come sta Marinelli? E il resto della redazione?
Tanti anni fa avevamo un amico che si chiamava Luca Marinelli e da allora non abbiamo mai più visto un millennial così triste. Disperati ne abbiamo visti molti. Tristi, come Lucariello, nessuno. Una volta se ne andò nelle Marche, un viaggio che doveva durare oltre sei mesi, ma lo rivedemmo poco tempo dopo. Che cos’è la rivista, Lucarie’?, gli domandavano i bambini mendicanti a Pesaro. Lucariello li ascoltava guardando le nuvole e poi si metteva a vomitare. Confronto, combattimenti, dojo. Banda. Come quando ti appare Ramses. A San Lorenzo lo avevano aggredito diverse volte, cosa pazzesca per uno che era stato redattore di Nuova Edizione e aveva portato Matteo Salvini al Salone del libro di Torino.
Il resto della redazione segue i ritmi mesmerici mesmerizzati e mesmerizzanti di Lucariello. Adesso Lucariello è vivo e la redazione lotta insieme a lui.
- Chi è oggi La Nuova Verdə?
Una moltitudine, un’orda d’oro insidiata dai nuovi barbari alle porte. È noto che Carlo Martello e Lorenzo Vargas stiano cercando di soffiarci Francesco Quaranta. Gli ultimi che ci provarono, del fu Crapula Club peraltro chiuso dagli eventi, stanno ancora piangendo.
Noi invece, cara Tina, siamo ancora la peggiore rivista su cui pubblicare escluse le altre, e stiamo ancora qua.
- Avete avviato la rubrica INDIFFERENZIATA in cui pubblicate tutti i contributi arrivati in redazione dal 1 dicembre 2020 senza lettura, selezione, editing o revisione. Sul sito leggo “la constatazione fatale che la nostra influenza e la capacità di suggerire buone letture alternative a quelle della bolla sono nulle”. La salto proprio la domanda sull’editing o mi raccontate come siete giunti a questa conclusione?
INDIFFERENZIATA è stato un errore. Gli errori non rimossi restano e parlano di noi. Doveva essere un inizio, peraltro neanche unanime all’interno della redazione, e si rivelato un abbaglio. D’altronde, il nome delle cose resta cruciale. Ci muovevamo da alcuni esiti dello sciopero del racconto in cui crediamo ancora, ma è mancata una riflessione sulla nota in calce ai racconti di INDIFFERENZIATA (La redazione rimane disponibile ad assolvere “i propri impegni” nei confronti dei titolari di eventuali diritti). Quali erano e quali sono i nostri impegni nei confronti di chi scrive e desidera pubblicare su Verde? Dovremmo poi prendere degli impegni da assolvere e perché? Qui torna la domanda sull’editing: la rivista non può più essere, se mai è stata, un service editoriale, senza una condivisione più profonda tra “i titolari di eventuali diritti”. Noi crediamo che una rivista si fondi sulle affinità e sul primato delle relazioni, non sulle call o sulla rivendicazione stagistica della prestazione gratuita di servizi editoriali offerta indiscriminatamente a chi capita. All’improvviso le riviste su questo punto si sono prese enormemente sul serio, le cose hanno preso un’altra piega e si sono fatte grottesche e patetiche. Non parliamo de L’Inquieto, specificalo Tina perché Martino è un amico (neanche di Colla, che come tuttə non leggiamo). Verde è inclusiva verso l’esterno ma è chiusa all’interno. INDIFFERENZIATA queste cose non le ha sapute spiegare, ma neanche mostrare. Molto meglio ha fatto Vomito (qua), che però non si è filato nessunə, neanche tu, cara Tina, che nell’elenco delle cose pazzesche che abbiamo fatto e che nessunə può mettere in discussione hai skippato, come direbbe Andrea Frau, “l’unica rivista che si autopubblica da sola”. Le letture alternative alla bolla sono mancate per il disimpegno della redazione, fisiologico o ideologico, in alcuni casi esistenziale.

- Sapete che in molti hanno paura di voi?
Ci è giunta voce. Che dire Tina, è ingiusto, e ci fa soffrire. Peraltro anche noi abbiamo paura di tuttə e di tutto, ma soprattutto di Stefano Sgambati (questa tienila, Tina: lo sanno tuttə, lo sa bene bene anche lui).
- Nel 2019 con Alfredo Zucchi proclamavate lo sciopero delle riviste. Iniziativa che ha avuto breve vita per mancanza di sostegno da parte delle altre riviste. Un paio di mesi fa Carlo Martello (Malgrado le mosche) sul suo profilo fb ha chiamato a raccolta un bel po’ di persone per fare il punto sulle riviste letterarie e provare a cercare una nuova direzione. Appello che ha alcuni punti in comune con il vostro sciopero. Le idee e le motivazioni che vi avevano portato allo sciopero restano ancora valide per voi?
Alcuni di noi pensano che quelle idee non solo siano ancora valide, ma siano un punto di arrivo. Lo sciopero ha avuto vita breve perché la visione è stata confusa da una posa assembleare che ha mancato sintesi e forma. Lasciaci chiarire però che lo sciopero è stato proclamato da Nuova Edizione, con la redazione di Verde e parte della redazione di Crapula Club: Anna Di Gioia, Luca Mignola, Alfredo Zucchi. Nuova Edizione è stato il tentativo di andare verso una nuova direzione al di là delle riviste. In questo senso lo sciopero non è fallito per mancanza di sostegno, che non abbiamo cercato. Lo sciopero ha posto un tema (può leggersi qua) a chiunque volesse recepirlo. L’unico interlocutore del Dojo che ha risposto riconoscendo che la questione delle riviste palestre era da sgombrare definitivamente dal tavolo è stato Vanni Santoni (in calce al manualetto La scrittura non si insegna), colui che più aveva puntato sul tema palestre. Noi siamo amicə di tuttə e parliamo con tuttə, ma crediamo pure che alla fine la rivista debba rivolgere il proprio sguardo a sé, per, citiamo, “reinventarsi continuamente e mettersi seriamente in discussione.” Cosa che a noi, va detto, riesce particolarmente bene eheheheh.
- Gli editoriali, Sulla fine di Verde, le Cover, Scenicchia una sega. Siete una delle poche riviste che ha la capacità di reinventarsi continuamente e di mettersi seriamente in discussione.
Tina, tu non immagini che fatica non ripeterci! Ma poi, detto tra noi, anche se ci ripetessimo? Sai che non è affatto una cattiva idea?
- Chi legge le riviste?
In Italia, dati ISTAT aggiornati al 30 aprile 2021, tu, il Guru e “Marco Patrone”.
- Continuano a nascere nuove riviste e rubriche su riviste. Questa varietà costituisce vitalità o appiattimento?
Siamo ottimistə. Un tempo le riviste nascevano vive e a poco a poco morivano. Ora nascono morte – alcune riescono a diventare a poco a poco vive. Peraltro, la rivista si può fare ovunque, anche sulle riviste. Va bene così, qualsiasi cosa questa varietà costituisca.
- Negli ultimi tempi dalle parti di Verdə si respira una strana calma. Io spero che da un momento all’altro arrivi uno dei vostri colpi di testa. Avete fatto un bel po’ di danni in giro in passato (vedi alla voce avvocati ricchi e contenti) eppure ogni volta a me è sembrato un tentativo per creare una comunità di riviste, per smuovere un dialogo che andasse oltre l’essere un passivo strumento di pubblicazione, per dare una propria dignità a un lavoro che non può e non deve essere semplice passaggio per l’editoria, per giocare con una gamma di possibilità.
Ti sembrerà pazzesco Tina, ma gli unici avvocati ricchi e contenti sono quelli di Minimum Fax (chi ha capito ha capito). Le nostre avvocate ci suggeriscono di rispondere così: “Oltre a essere rivista, siamo educatrici e educatori, crediamo nelle comunità, crediamo che le riviste siano altra editoria, non crediamo nei passaggi né nelle palestre, ci piace giocare, non ci piace prenderci sul serio, a settembre faremo il consueto giro delle fiere tra Firenze, Napoli e chissà dove altro, poi torneremo a leggere, a scrivere e a fare rivista, posto che “le riviste non sono i racconti che pubblicano, ma i simboli e i linguaggi che creano e lo spazio in cui stanno...”
- Verdə ma alla fine che cos’ è una rivista?
Una rivista, cara Tina che hai infine l’ardore di chiedercelo, è banda, altrimenti non è.
Grazie Verdə!
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