
Libri
Adorazione: incontro con Alice Urciuolo
Da poco ho preso l’abitudine di tenere un diario delle mie letture. É un taccuino che mi è stato regalato da un caro amico qualche tempo fa. C’è uno schema già strutturato in cui inserire dati e riflessioni sul libro che si è letto. Tra le varie informazioni richieste c’è anche quella relativa all’odore del libro. Quando ho scritto di Adorazione (di Alice Urciuolo pubblicato da 66thand2nd) a quella domanda ho risposto: odore d’estate e di libertà. Non ho brillato per originalità, devo ammetterlo.
I fatti narrati nel romanzo succedono nella zona dell’Agro Pontino durante un’estate. C’è un gruppo di adolescenti in una provincia chiusa che proverà a fare i conti con il peso di un’assenza ingombrante. Potrebbe sembrare l’ennesimo romanzo di formazione su un gruppo di adolescenti nella noiosa provincia italiana. E invece no. Stavolta c’è qualcosa di diverso. C’è un’esigenza molto più profonda di andare a intaccare un sistema sballato in cui si è cresciuti. C’è la pretesa di avere risposte a fatti che sembrano apparentemente inspiegabili ed estranei alla norma. C’è un continuo interrogarsi senza escludere le proprie responsabilità. C’è il sesso, il ciclo mestruale, il rapporto con il proprio corpo e con quello degli altri, il possesso, il consenso, la violenza fisica e psicologica, la pillola, il giudizio e la mancanza di un’educazione sentimentale. Ma soprattutto ci sono Diana, Vanessa e Vera. Tre ragazze che scoprono il loro essere donne in un distorto costrutto millenario che le imbriglia. Tenteranno di avvicinarsi davvero a quello che sentono di essere, con tutta la difficoltà e la fragilità che questo porta. Questa è per me la libertà di cui ho scritto su quel taccuino.
Ogni passo che ci avvicina a noi stessi, ogni passo che ci porta a rendere il mondo un posto migliore è libertà. Le adolescenze narrate in questo libro sono diverse dalla mia per tempi, modi e luoghi però io quel luccichio negli occhi e quella bruciante esigenza di essere riesco a sentirle.

Una parola tre libri: macerie
Accade in un attimo (o forse no) di ritrovarsi in tanti piccoli pezzi. Di guardarsi intorno e di sentirsi infinitamente soli non importa come e dove. Ci illudiamo che sia un attimo ma è il lavorio di tanti piccoli momenti brevi e costanti nel tempo a fare da miccia all’esplosione finale. I pezzi lasciati sul campo sono parti di te che provi a raccogliere senza capire bene come attaccarle di nuovo. Eppure in qualche modo c’era un incastro. Restano solo frammenti ricoperti di polvere e schegge. Metti tutto sul tavolo per l’operazione di sistemazione. Colla, scotch, adesivi, tutto è a portata di mano. Cominci. Come in un puzzle metti insieme i pezzi che ti sembra si riconducano ad una stessa forma. Fai vari tentativi e quando ti sembra di aver azzeccato quello giusto incolli e passi a quello successivo. L’entusiasmo della riuscita prende il posto della fatica iniziale e ti sembra di andare più veloce. Ti concentri sul dettaglio, assembli e incolli. Dopo aver attaccato l’ultimo pezzo guardi l’insieme. Non è come ti aspettavi, c’è qualche piccolo foro e dei piccoli spazi tra i pezzi. Potresti coprirli con lo scotch ma sai che non durerebbe, le crepe dopo un po’ avrebbero la meglio. Ti ricordi una frase letta chissà dove. Pare che dalle crepe entri la luce ma non ti ha mai convinto del tutto. Dalle tue crepe passano solo gli spifferi e si allargano anno dopo anno fino a diventare voragini. Ed è in quelle voragini che ti perdi o ti nascondi. In quei vuoti che fanno girare la testa, rammollire le gambe, intricare lo stomaco e mancare l’aria. Raccogli la polvere in un barattolo sicura che un giorno servirà anche quella per rimetterti in piedi. Con il barattolo tra le mani esci fuori anche se fa una maledettissima paura. Fuori non è molto diverso da dentro se non ti fai incantare dalla superficie, se scosti l’apparenza e guardi bene sono cumuli di macerie e pezzi rotti. Cammini mentre tutto intorno sembra poter cedere da un momento all’altro. Tenti una strada e incontri altra gente. C’è chi si muove spavaldo e incurante, chi cerca di imitarli bluffando malamente, chi timoroso si avventura, pochi con una calma serenità. Tutti con il loro barattolo più o meno in vista indecisi se aprirlo o fare finta di averlo dimenticato da qualche parte.
Contro il sacrificio. Al di là del fantasma sacrificale.
“Hai agito seguendo la Legge del tuo desiderio o gli hai voltato le spalle? Hai fatto in modo di moltiplicare i tuoi talenti o li hai seppelliti per paura? L’albero della tua vita è stato capace di generare frutti o è rimasto sterile?”
Un marito
“Nella Marassi che hanno scelto per crescere e morire insieme, la notte è il tempo del rientro a casa, e nelle strade percorse alla cieca che stanno per condividere anche stasera per tornare alla loro automobile, stringendosi per paura di finire separati dall’oscurità, la loro unione profonde la tipica, invisibile luminescenza delle cose inestimabili”
Basilio. Racconti di gioventù assoluta
“In difesa. Dove, difensori a parte, giocano la maggioranza di quelli come lui: sia perchè i compagni più forti ce li mandano, sia perchè certi ragazzini hanno veramente paura di giocare a centrocampo o in attacco, come se andando avanti nel campo si potesse arrivare a un punto dove non si tocca, tipo al mare quando si fa il bagno.”
Vita e morte delle aragoste
“Mentre rientrava in casa pensai all’infinità di cose che faceva senza dirlo a nessuno e senza che io lo vedessi. Mi domandai dove andassero a finire tutti quei momenti in cui era il solo testimone di sé stesso. Che porzione di Teapot conoscevo? Quale lui raccontava, quale avrei raccontato io?”
Parla, mia paura
“E’ cominciata con la paura. Paura delle automobili. Paura dei treni. Paura delle luci troppo forti. Dei luoghi troppo affollati, di quelli troppo vuoti, di quelli troppo chiusi e di quelli troppo aperti. Paura del cinema, dei supermercati, delle poste, delle banche. Paura degli sconosciuti, paura dello sguardo degli altri, di ogni altro, paura del contatto fisico, delle telefonate. Paura di corde, lacci, cinture, scale, pozzi, coltelli. Paura di stare con gli altri e paura di restare da sola”
A misura d’uomo
“La segue attraverso le vie del paese, si fermano a prendere un caffè in piazza, non è una vera piazza, è una via, ma quelli che ci abitano si ostinano a chiamarla piazza, c’è il teatro e c’è il comune, forse lo chiamano così per quello; là in fondo c’è la chiesa, con una crepa sulla facciata, l’unico ricordo del terremoto, come se la chiesa si fosse presa su di sé il dolore salvando il paese”