Una settimana di racconti #101

Mi piace fantasticare su quali saranno gli autori che troveremo domani negli scaffali delle librerie. Se posso farlo è anche grazie al lavoro che fanno le riviste letterarie e i collettivi, che continuano a dare la possibilità agli scrittori di poter condividere i loro racconti senza necessariamente dover aspettare di farne un libro, agli autori sconosciuti di muovere i primi passi e a noi lettori di scoprire in che direzione muoverà la letteratura di domani. Fortunatamente di riviste (di carta e online) e di collettivi ce ne sono tantissimi ma sfortunatamente non ho il tempo di leggerli tutti .

Questa non è una classifica ma solo un riepilogo dei racconti che ho letto e che mi sono piaciuti questa settimana.

La cecità, pensai, è una strana forma di handicap. Un cieco sembra sempre che sappia qualcosa in più di te.
Col suo aspetto da roditore, invisibile a sé stesso e agli altri, senza una singola espressione del viso, stava in un mondo tintinnante, ruggente, sibilante, scricchiolante, sciabordante.

A.B. di Giovanni Ceccanti su Narrandom

Tempismi sfasati.

Ero un focomelico fortunato. Non solo ero stato un adolescente focomelico negli anni ‘90, quando Peter Milligan, Brendan McCarthy e Carol Swain avevano scritto, ideato, disegnato e colorato il fumetto Skin, che raccontava la storia di Martin Atchitson, giovane skinhead focomelico – un «figlio della talidomide» – nella Londra degli anni ‘70, ma adesso avrei potuto addirittura tenere vicino al letto un peluche di me stesso con un’etichetta dai colori cangianti sulla quale campeggiava iridescente la scritta Ipertricoticofocomelico™.

Ipertricoticofocomelico™ di Sergio Oricci su Altri Animali

Celebri disgrazie.

Di colpo realizzo che non parlavamo dal giorno della rottura. Ci siamo lasciati improvvisamente, come c’eravamo presi. Non ricordo nemmeno perché, so solo che eravamo infelici. Sono sempre stato un po’ infelice. Da giovane perché ero giovane, adesso perché non lo sono più.

Surgelati di Francesco Casini su inutile

Niente è come l’avevi immaginato.

Mi sono chiesta troppe volte quanto odio ci volesse, e quanta rabbia, per mettersi il cuore in pace. Cristiano a questo non sapeva rispondere. Si aggrappava a un’idea, anzi se la caricava sulle spalle, e con quel peso si lasciava trascinare dalla folla. Cercava assiduamente una distanza millimetrica tra il suo corpo e il corpo degli altri, un abbraccio o uno scontro, più o meno era uguale, ma aveva il terrore di allineare se stesso all’idea di un se stesso futuro.

Woodstock di Lucia Perrucci su Conclave n. 13 L’Inquieto

Un’immagine di sé.

Inoltre vi ricordo che il numero tre de L’Ircocervo è online

Buone letture!

 

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