Mezza luce mezzo buio, quasi adulti: incontro con Carlo Bertocchi

L’assoluto dell’adolescenza. Il coraggio che solo una fottutissima paura sa regalarti. L’amore sognato e poi avvicinato nonostante la goffagine e i palpiti. Le corse in motorino ad esplorare quello che sta intorno. L’istinto che sa sempre da che parte stare. Il male che a volte è sfumato ma altre proprio no. La provincia che pare dorma e invece si fa scenario di leggendarie avventure. Il gruppo di amici che…per fortuna che ci siete voi ragà! 

Mezza luce mezzo buio, quasi adulti” è l’esordio di Carlo Bertocchi per Terrarossa Edizioni per la collana Sperimentali. La storia di Bert e della sua banda e della loro folle estate prima delle superiori tra un assassino nascosto tra i campi, l’amore e le beghe con la banda rivale comandata da Billy. 

Copy of Copy of Per giorni e giorni senza che nulla accadesse. Il mare vuoto, vuota agitazione di memorie e di membra senza attesa. E un giorno tu compari sull'orizzonte. Due punti che si guardano da lontano. Quan

 

IBIB: “Non dovevo essere lì, e invece.” Il libro comincia con una delle specialità di Bert: mettersi nei guai. Chi è Bert?

CB: Bert è un ragazzino come altri mille che vorrebbe arrivare dove non può ma non demorde, che si caccia nei guai per un buon motivo, che sia la ricerca di un chiarimento o una ragazza. È estremamente sensibile in un’età in cui questa è considerata una debolezza ma cerca di non rinunciarvi completamente, vorrebbe solo essere più figo senza diventare cinico o disilluso. Credo che tutti noi si sia passati da quel periodo in cui la necessità di una risposta ha prevalso sul timore. Da grandi invece, si calcola troppo.

IBIB: Protagonista del romanzo è il gruppo, completamento e forza vitale di Bert. In un periodo storico in cui si parla e si legge di storie individuali perché hai scelto di raccontare di un gruppo e delle sue dinamiche?

CB: Per me il mondo degli amici è sempre stato un riferimento tanto quanto la famiglia. Venendo poi da un piccolo paese anche la comunità nel suo intero era un confronto quotidiano. Non credo si debba perdere questa dimensione solo perché sono cambiati i medium della comunicazione, in questo la mia generazione ha un vantaggio, ha sperimentato in tempi stretti tutte le modalità e può essere testimone e facilitatrice di una comunicazione tra esseri umani più complessa e più appagante.

IBIB: Una delle cose che ho più apprezzato del libro è come hai mostrato l’ambiguità che alcune persone hanno del concetto di giustizia. Da un lato c’è un gruppo di persone che mascherano la vendetta, il razzismo e l’accanimento dietro alla parola giustizia e altre che hanno voglia di capire realmente come sono andate le cose non giudicando e lasciando chi di competenza ad occuparsi della cosa.

CB: Questo è un eterno refrain nella definizione degli atteggiamenti sociali, individuali e di gruppo. L’importante per me è chiarire che ognuno si assume la responsabilità di come si rapporta all’altro, ai fatti, all’analisi degli stessi. Nessuno si auto-assolva per pigrizia intellettuale, credo dovrebbero scriverlo nelle classi delle scuole di tutto il mondo.

IBIB: Quel quasi adulti del titolo in qualche modo mi è sembrata una condizione perenne e non transitoria come invece le parole vorrebbero farci credere.

CB: Beh, qualcuno diceva che bisogna essere duri senza perdere la tenerezza. Concordo se si tratta di conflitti sociali o epocali, nel quotidiano io muterei questo in “lasciate che il ragazzo che è in voi sopravviva all’adulto che siete diventati”. Non apprezzo i sedicenni/ultra quarantenni, ma nemmeno i quarantenni che non sanno più guardare il mondo con occhi puliti.

IBIB: La fuga del ricercato albanese ricorda un recente caso di cronaca eppure il tuo romanzo è ambientato alla fine degli anni ottanta . Come mai questa scelta temporale?

CB: Il caso di cronaca l’ho preso come spunto narrativo-sociale ma volevo che la storia fosse nell’epoca che ho descritto perché è stata una stagione di arrivi e ri-partenze della storia, del modo di vivere tutti insieme. Poco dopo quegli anni avremmo avuto in casa il primo modem a 56k, e solamente vent’anni dopo la stessa storia la gestiamo in maniera simile come approccio ma amplificandola a sproposito e senza ritegno sui social. Mi piaceva l’idea di segnare un confine, da valicare ma da ricordare.

IBIB: Il bar, le scorribande in motorino, le ragazze, sono tutte tappe di un momento di crescita e di cambiamento per Bert. Un momento di passaggio in cui cominciare a pensare al proprio posto nel mondo.

CB: Questa è storia, è proprio così che andavano le cose e sinceramente un po’ mi dispiace che altri ragazzi venuti tempo dopo non possano averlo vissuto. Non perché fosse meglio di quanto si sperimenta oggi tout-court, perché era diverso in un modo che non farebbe male a nessuno vivere anche solo per un po’, per ampliare la coscienza di sé in rapporto agli altri, quotidianamente, faccia a faccia, gomma a gomma, figure da stupido davanti a tutti comprese. E magari il proprio posto nel mondo lo si troverebbe senza prevaricare gli altri.

IBIB: Il motore di tutto è Matilda, la ragazza di cui Bert è innamorato. Forse uno dei personaggi più maturi sia dal punto di vista della costruzione che dell’esperienza vissuta. Per Matilda quel “quasi”accostato alla parola adulta sembra sia superato da un pezzo.

CB: Lei è una ragazza di quelle per le quali non puoi che perdere la testa. È bella, sperimenta, è la più sveglia, non regala niente ma sa essere giusta e generosa. È cresciuta in fretta ma non è un personaggio così fuori dal comune, almeno per la mia esperienza. Sono le persone che adoro, che mi affascinano e che spesso hanno da insegnare, sanno quando parlare e quando tacere, e quando buttarla sul ridere perché è l’unica risposta plausibile. Avercene. Mentre scrivevo mi sono accorto che volevo bene a Bert, ma Matilda aveva tutta la mia attenzione, non sapevo dove mi avrebbe condotto, ma ha segnato la  strada.

Grazie Carlo!

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